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Antiaggregante o anticoagulante nei pazienti con PFO e ictus criptogenico?

Nei pazienti con pervietà del forame ovale (PFO) e che hanno avuto un ictus criptogenico non si osservano differenze signficative in termini di outcome e ricorrenze con l’utilizzo di terapia antiaggregante o anticoagulante. E’ questo il risultato di una recente grossa metaanalisi pubblicata sullo European Heart Journal. Scopo dello studio era valutare l’efficacia delle terapie antiaggregante ed anticoagulante in prevenzione secondaria di ictus/tia nei pazienti con PFO ed un precedente ictus criptogenico. Sono stati analizzati i dati dei singoli pazienti con PFOe ictus criptogenico trattati con terapia medica di 12 database mediante un modello di regressione di Cox, per valutare gli hazard ratio (HR) di terapia antiaggregante e anticoagulante per l’endpoint composito primario (ricorrenza di ictus, TIA e morte) e di ictus. Sono stati utilizzati dei modelli ad effetto random. L’analisi ha coinvolto 2385 pazienti (anticoagulante = 804 e antiaggregante = 1581) per un totale di 227 eventi. la differenza tra anticoagulante e antiaggregante non è risultata statisticamente significativa né per l’outcome primario (adjusted HR = 0.76, 95% CI 0.52-1.12] né per la ricorrenza di ictus (adjusted HR = 0.75, 95% CI 0.44-1.27). L’analisi di specifici sottogruppi di pazienti non ha mostrato eterogeneità né differenze nei trattamenti. Il trattamento dei pazienti con PFO che hanno avuto ictus criptogenici è tutt’oggi oggetto di discussione. Alla terapia medica in prevenzione secondaria si possono associare terapie percutanee di chiusura del PFO. La discussione su quale approccio farmacologico sia migliore nel prevenire la ricorrenza di eventi è ancora aperta, e questa metaanalisi ha mostrato una sostanziale sovrapponibilità dei due approcci principali. Ciò che sembra mancare a questa analisi è la valutazione dei sanguinamenti. In più mancano studi sul ruolo dei nuovi anticoagulanti in questo campo. Per quanto riguarda gli approcci di chiusura percutanea, seppur in studi recenti è emersa una tendenza alla riduzione di eventi con la chiusura soprattutto nei pazienti con caratteristiche di rischio del PFO, questi dati non hanno raggiunto una significatività. Ciò indica chiaramente come l’approccio migliore debba essere individualizzato e deciso valutando le caratteristiche di rischio trombotico, emorragico e del PFO stesso.


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