Aspirina migliora l'outcome nello scompenso cardiaco
L’utilizzo di basse dosi di aspirina potrebbe avere un ruolo nella prevenzione secondaria di eventi in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico. È questo il risultato principale di una analisi retrospettiva recentemente effettuata e pubblicata sull’importante rivista Circulation Heart Failure. Come detto questi dati sono stati ottenuti da una analisi retrospettiva di una coorte di pazienti che hanno partecipato ad un programma di trattamento dello scompenso cardiaco cronico in cui è stato esaminato l’utilizzo di aspirina al momento dell’ammissione dei pazienti al programma stesso e la relazione con il rischio di mortalità e di morbidità nel follow-up. Dei 1476 pazienti che facevano parte del programma, 892 (60.4%) utilizzavano aspirina. L’età media era 70.4±12.4 anni e il 63% dei pazienti era di sesso maschile. L’aspirina a bassa dose (75 mg/die) era stata prescritta a 828 (92.8%) pazienti. La mediana di follow-up era di 2.6 (0.8-4.5) anni. Durante il periodo di follow-up sono deceduti 464 (31.4%) pazienti. Nelle analisi aggiustate per i cofattori l’utilizzo di basse dosi di aspirina è risultato essere associato ad una minore mortalità rispetto al non utilizzo (hazard ratio 0.58; intervallo di confidenza al 95%, 0.46-0.74), e questo dato è stato confermato da una analisi di una popolazione propensity-matched. Inoltre, l’aspirina a basse dosi era associata ad una riduzione del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco (adjusted hazard ratio=0.70; 95% confidence interval, 0.54-0.90). Nelle analisi aggiustate non si rilevavano differenze significative nel tasso di mortalità o ospedalizzazione per scompenso cardiaco tra i pazienti che assumevano dosi maggiori di aspirina (>75 mg/die) o che non assumevano aspirina. L’utilizzo dell’aspirina nei pazienti con scompenso cardiaco è un argomento ancora controverso. L’utilizzo di aspirina è infatti utile nei pazienti con scompenso cardiaco secondario a cardiopatia ischemica, che rappresenta d’altronde la prima causa di scompenso. D’altra parte analisi retrospettive di grandi studi randomizzati che hanno studiato gli ACE-inibitori e studi prospettici che hanno paragonato l’utilizzo di aspirina con quello di warfarin hanno mostrato un aumento della morbidità con l’aspirina. Questo studio mostra un dato molto interessante, ossia che l’utilizzo di basse dosi di aspirina migliora l’outcome sia in termini di morbidità che di mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco. A tal proposito è da notare come invece non emergano differenze di outcome in pazienti che assumono dosi di aspirina >75 mg/die o che non assumono aspirina. Ciò potrebbe suggerire che a basse dosi prevalgano gli effetti benefici dell’aspirina, mentre a dosi più elevate benefici e danni tendano a pareggiarsi. Con i limiti di una analisi retrospettiva questo studio sembrerebbe quindi suggerire di prescrivere aspirina a basse dosi a pazienti con scompenso cardiaco, dosi peraltro già dimostrate efficaci e sicure anche in pazienti con cardiopatia ischemica conclamata.
